L'APE COME BIOINDICATORE
Il monitoraggio dell’inquinamento, in particolare quello atmosferico, è effettuato essenzialmente tramite centraline automatiche di rilevamento. Tali apparecchiature misurano direttamente le concentrazioni degli inquinanti in campioni d’aria prelevati dall’atmosfera: quando le concentrazioni di una o più di tali sostanze superano i livelli soglia stabiliti per legge, scattano i provvedimenti per limitarne le emissioni, come ad esempio l’interruzione temporanea del traffico veicolare. Questo tipo di monitoraggio presenta dei limiti: le centraline automatiche hanno costi elevati sia nell’acquisto e sia nella manutenzione; generalmente eseguono il rilevamento solo per pochi parametri; la valutazione è riferita all’area in cui insiste la centralina. Ciò ne limita l’impiego nel monitoraggio di vaste aree quando questo è basato su un’alta densità di punti di campionamento.
Occorre anche notare che la quantificazione delle concentrazioni dei singoli inquinanti non da un quadro sintetico e globale del degrado ambientale, in quanto le diverse sostanze presenti possono agire sinergicamente amplificando gli effetti verso
gli organismi viventi (Barron 1990; Cerniglia1992).
Partendo da queste considerazioni e tenendo presente che ogni rilevatore di inquinamento (chimico-fisico o biologico) fornisce una sua “visione” dello stato di compromissione del territorio indagato che non sempre collima con gli altri, emerge sempre di più l’esigenza di affiancare ai comuni metodi di indagine strumentale, altre metodiche di tipo biologico basate cioè sull’impiego di organismi viventi “sensibili”, in grado cioè di fungere da “indicatori” del degrado della qualità ambientale dovuto all’inquinamento. Ricordiamo che gli indicatori biologici sono definiti come rappresentazioni sintetiche di realtà complesse, in quanto consentono di tener conto di interazioni sinergiche e, in alcuni casi, di svelare la presenza di sostanze immesse in maniera abusiva nell’ambiente. Gli agenti inquinanti introdotti nell’ecosistema
possono determinare la crescita o rarefazione di questi organismi, la loro presenza o assenza, o accumularsi al loro interno.
I bioindicatori, inoltre possono reagire sia a un singolo che a un complesso di fattori relativi non solo al presente, ma anche al recente passato, in quanto a differenza delle analisi chimico-fisiche che offrono una risposta relativa al solo momento e al solo luogo del campionamento, possiedono una sorta di “memoria” del danno inflitto dal contaminante. I due metodi possono però integrarsi a vicenda, in quanto forniscono l’uno un’alta capacità di sintesi e l’altro un’alta precisione analitica (Crane 1984; Raeymaekers 2006).
L’ape, per le sue caratteristiche biologiche, morfologiche, fisiologiche ed etologiche, è considerata un valido bioindicatore per il controllo dell’inquinamento ambientale. A differenza di altri bioindicatori per lo più immobili, l’ape si può definire un sensore viaggiante. In questi suoi viaggi di andata e ritorno dall’alveare, che coprono un’area di circa 7 chilometri quadrati, è instancabile nella sua attività di raccolta di svariate sostanze come nettare, polline, propoli, melata e acqua. L’ape riesce a “campionare” quasi tutti i comparti ambientali: suolo, vegetazione, acqua e aria; inoltre il suo corpo rivestito di peli si presta particolarmente a trattenere i materiali di diversa natura con cui viene a contatto. Se consideriamo che in un alveare in buono stato vi sono circa 10.000 bottinatrici e che ognuna visita giornalmente un migliaio di fiori, si può facilmente stimare che una colonia di api effettui 10 milioni di microprelievi ogni giorno, senza considerare il trasporto di acqua che nelle giornate calde può raggiungere anche alcuni litri.
Il territorio, quindi, è tenuto costantemente sotto controllo da parte dell’ape, e se questa “incontra” anche molecole di contaminanti, eventualmente presenti, le porta “a casa”, rendendole così disponibili all’analisi chimica.
L’ape rileva, e rivela, i contaminanti nell’ambiente in cui vive attraverso due segnali: tramite estese mortalità, come nel caso dei pesticidi, e attraverso i residui presenti nel suo corpo o nei prodotti accertabili attraverso opportune analisi di laboratorio.
Ne consegue che le api sono in grado con molta prontezza di percepire dinamiche di trasformazione in atto negli ambienti da loro frequentati e con altrettanta prontezza sono in grado di segnalarle. Si può perciò considerare l'ape un "indicatore biologico" (Porrini et al. 2003; Porrini et al. 1996).
I principali vantaggi dell’utilizzo delle api come bioindicatori sono: i bassi costi di gestione, l’ubiquitarietà degli alveari e il gran numero di bottinatrici presente in ogni alveare in grado di effettuare migliaia di micro - campionamenti nell’ambiente su di un’area molto vasta. Il biomonitoraggio con le api consente di individuare nell’ambiente molti contaminanti che vanno dagli agrofarmaci, utilizzati in modo spesso indiscriminato negli agroecosistemi, ai metalli pesanti e radionuclidi.